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Monorigine, specialty coffee e miscele: la guida dell’home barista

Monorigine, specialty coffee e miscele: la guida dell’home barista
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Monorigine, specialty coffee e miscele: la guida dell’home barista

Di cosa si tratta?

Con “monorigine” (in inglese: single origin) si intende un caffè proveniente da un’unica origine geografica. “Origine”, però, può indicare diverse aree: una nazione (es. Etiopia), una regione (es. Sidamo), una cooperativa, una singola piantagione, fino ad arrivare al cosiddetto lotto microlotto o nanolotto, spesso raccolto in un preciso periodo dell’anno da una specifica varietà botanica, magari fermentato secondo tecniche sperimentali. Parlare di monorigine, quindi, è evocare ciò che in enologia viene definito un terroir, un’identità, una firma.

Lo specialty coffee è una categoria dei monorigine: di altissima qualità, è un caffè che, dopo attente valutazioni da parte di esperti e rigorosi controlli, ha totalizzato un punteggio superiore a 80 in base al protocollo di assaggio della Specialty Coffee Association (SCA). 

La miscela, invece, come si può immaginare, è l’unione di più origini. Possono esserci miscele 100% Arabica, e miscele che includono sia Arabica che Robusta. La miscela non identifica necessariamente un caffè anonimo o frutto di industrializzazione, anzi: può essere artigianale e ben costruita. In alcuni casi è una vera opera di equilibrio progettata per armonizzare pregi o esaltare una determinata estrazione. Spesso misconosciuta da chi ricerca la purezza assoluta, la miscela è invece un punto fermo della tradizione italiana.

Differenze di profilo

Un monorigine può essere sfidante, floreale, pungente, complesso, spigoloso, e altro ancora. Può affascinare o disorientare, ma difficilmente lascia indifferenti. Il monorigine è perfetto per l’home barista che ama studiare, esplorare, mettersi alla prova con estrazioni precise oltre l’espresso, un profiling mirato e variazioni sottili.

La miscela, al contrario, cerca e offre maggiore bilanciamento. Il torrefattore combina diverse origini per creare un profilo di gusto specifico, risultando, solitamente, in un prodotto spesso più accessibile e standardizzato, che garantisce una certa costanza nel gusto. È la sinfonia di un’orchestra, in cui ogni origine ha il suo ruolo.

Dal vigneto alla tazzina: l’influenza del terroir

Parlare di monorigine porta a parlare di terroir e di tutte le sue peculiarità e unicità.

Umidità, altitudine, latitudine, tipo di suolo, varietà botanica, processi post-raccolta: tutto incide in modo profondo sul risultato che sentiamo in tazza. Un caffè Etiopia naturale di Yirgacheffe potrà offrire note di pesca, gelsomino e tè nero. Un Kenya lavato di Nyeri potrà donare note di ribes, pompelmo rosa e un’acidità brillante da sembrare vino rosso. Chi sceglie un monorigine compie un atto di trasparenza radicale: nulla si maschera. 

In una miscela, invece, la forza è tutta nella costruzione: si gioca sul dosaggio, sulla post-tostatura, sul bilanciamento delle curve termiche per uniformare o differenziare. Il torrefattore diventa un compositore. Il fine ultimo può essere la replicabilità oppure l’emozione. Dipende da chi crea e da chi sarà il consumatore finale: ci sono miscele più complesse e miscele più semplici alla portata di tutti i palati.

Espresso e filtro

In Italia, le miscele tradizionali – sia 100% Arabica che quelle che combinano Arabica e Robusta – sono sempre state preferite, perché l’espresso è intenso e concentrato, e la morbidezza, la dolcezza e la crema sono elementi chiave per il consumatore. Qui, la miscela ha trovato la sua massima espressione: è costruita per reggere l’alta pressione, per offrire corpo, persistenza e bilanciamento.

Al contrario, nei metodi filtro il monorigine regna incontrastato. La maggiore diluizione, la bassa temperatura e l’estrazione lenta permettono alle note aromatiche più volatili di emergere con nitidezza. In quello che può essere quasi un “infuso di caffè”, si apprezzano maggiormente le sfumature, le acidità eleganti, i profili fruttati e floreali. Nonostante ciò, a oggi, il monorigine si presta anche all’estrazione per espresso, in cui ogni dettaglio nel processo di preparazione deve però essere controllato con grande attenzione.

Pregiudizi, curiosità e miti da sfatare

Un caffè monorigine identifica sempre una qualità superiore? Solitamente sì, ma un monorigine mal tostato può essere peggiore di una miscela ben progettata. Un discorso differente è relativo agli specialty coffee, la cui qualità è provata e confermata da test riconosciuti. 

Una miscela di caffè identifica sempre un prodotto industriale? Assolutamente no. Oltre ai prodotti per la grande distribuzione, che comunque possono avere dei buoni profili organolettici e far ottenere ottimi risultati, esistono ottime torrefazioni artigianali che costruiscono interessanti blend stagionali, anche limitati, pensati per esprimere una firma sensoriale specifica. 

Il caffè specialty è sempre acido? Innanzitutto, distinguiamo tra acidità al palato e acidità di stomaco!

Accade spesso che i caffè Specialty risultino più acidi al palato rispetto a un classico espresso italiano al bar. Questo accade perché solitamente gli Specialty vengono tostati in modo leggero e quindi l’acido clorogenico, un polifenolo antiossidante naturalmente presente nel caffè, risulta più persistente. 

È molto importante anche la provenienza del caffè. Per esempio, i caffè che crescono a un’altitudine maggiore – come quelli africani – hanno una maggiore densità cellulare e quindi una più ampia complessità aromatica, più cellule e più spazi per la costruzione di acido clorogenico, ma anche di informazioni che comporranno il profilo organolettico.  Per questo si dice che alcuni Specialty siano “complessi”.  Anche il metodo di lavorazione concorre alla percezione di acidità: un caffè lavato, rispetto a un naturale, può risultare più acido. Anche la macinatura ricopre un ruolo importante e può bilanciare o arricchire il profilo organolettico di un prodotto. 

Se il caffè, invece, risulta troppo amaro in bocca, e causa acidità di stomaco, la causa potrebbe essere – oltre a una miscela di scarsa qualità, ma anche una macchina non manutenuta correttamente – anche una tostatura troppo scura. Difatti, una dark roast rischia di bruciare il caffè creando un prodotto che risulta amaro, non benefico, e difficile da digerire. Un altro punto rilevante è l’estrazione da parte del barista. Quando capita di assaggiare caffè che risultano bruciati e amari, potrebbe essere anche colpa di una sovraestrazione, troppo veloce ed errata. 

L’etica dell’origine

Il caffè monorigine spesso porta con sé un’altra importante dimensione, rispetto alla miscela: quella della tracciabilità e della sostenibilità. Sapere da dove viene il caffè, chi lo ha coltivato, in quali condizioni lo ha fatto e con quale trattamento, apre a un consumo più consapevole. Certificazioni, direct trade, trasparenza nella supply chain: tutto ciò ha un peso crescente per molti home barista evoluti. Vi sono comunque delle miscele moderne che adottano un simile approccio, componendo il blend prestando attenzione alle origini etiche, certificate o acquistate direttamente.

Il caffè perfetto per le macchine Gaggia

Nel valutare la scelta tra miscela e monorigine, è fondamentale considerare le proprie preferenze di gusto, ma anche conoscere bene la macchina da caffè che si ha a disposizione. Gaggia ha una doppia anima — manuale e automatica — e considera le proprie macchine “a sistema aperto”, ovvero adatte per vari tipi di caffè, offrendo la possibilità di esplorare entrambe le filosofie in modo pieno, ma con approcci differenti e adattati. 

Con una macchina manuale Gaggia, l’home barista ha il controllo totale e completo su ogni parametro: macinatura, dosatura, pressatura ed estrazione. Questo livello di personalizzazione consente di utilizzare senza problemi una miscela di caffè, ma anche di valorizzare al massimo un monorigine complesso.

Con una macchina come Gaggia Classic GT, inoltre, è anche possibile modificare la pre-infusione (automatica o manuale) e regolare la pressione con l’OPV, per adattarsi ancora meglio alle caratteristiche del caffè scelto, valorizzandolo.  

Un monorigine si può estrarre anche con una macchina superautomatica Gaggia. In questo caso, sarà importante calibrare il grado di macinatura delle macine in ceramica per una migliore estrazione, e si potrà impostare un aroma più o meno intenso a seconda del tipo di caffè, del suo lavaggio, della sua provenienza.

La cultura del caffè consapevole

Abbiamo una storia importante alle spalle e, grazie al sostegno della nostra community di partner e coffee lovers, ci sentiamo responsabili della diffusione di un approccio consapevole al caffè. Scegliere la giusta miscela o il perfetto caffè monorigine è parte integrante di questa cultura: significa esplorare, testare, formarsi, costruire il proprio gusto personale.

Nel nostro blog, nei nostri profili social e attraverso la nostra community di baristi a casa, cerchiamo di stimolare verso l’approccio consapevole alla tazzina quotidiana. Con la tua Gaggia puoi fare molto di più che “prepararti un caffè”: puoi creare, scoprire, degustare.

Qualunque sia la tua scelta, una macchina Gaggia può essere lo strumento giusto per portare in tazza il meglio. Con la giusta attenzione, anche una miscela può stupirti con sfumature inattese. E, con accortezze ed esperimenti, un monorigine può rivelare tutta la sua meravigliosa complessità.

Il nostro consiglio? Prova! Cambia. Osserva. Degusta. Annota. E lasciati guidare dal piacere di un caffè che non si ferma mai alla sola tazzina, ma apre una finestra sul mondo. E la tua macchina Gaggia, in questo viaggio dei sensi, può fare da ponte.

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